La Fede secondo il Concilio Vaticano II

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La fede è la risposta positiva alla rivelazione di Dio. L'atto di fede non è soltanto un atto di ragione, ma un atto essenziale che chiama in causa l'intera personalità dell'uomo. La fede nel suo primo significato non cambia la vita e non giustifica, intesa nel suo secondo significato è praticamente assimilabile alla salvezza stessa. Ed è esattamente questa la fede contemplata nella costituzione dogmatica sulla divina rivelazione: «A Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede, con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà, e assentendo volontariamente alla riflessione che egli fà». (Dei Verbum 5).
Un atto libero dell'uomo, come sottolinea giustamente il testo, che naturalmente non può essere emesso se non sotto l'influsso della grazia proveniente e adiuvante dello Spirito Santo; l'adesione non è semplicemente la conclusione di un nostro ragionamento o l'esito di una spinta volontaristica interiore, pur rimanendo in pieno senso un atto specificamente umano. Anche l'intelligenza, potrà progredire soltanto con la forza dello Spirito Santo, il quale «perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni». È proprio in virtù di questa assistenza continua che «cresce la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse», come affermerà subito dopo lo stesso documento conciliare. (DV8). Una crescita che riguarda naturalmente la nostra comprensione e non il contenuto della rivelazione, perché questa, come la chiesa ha da sempre sostenuto, è terminata con la fine dell'era apostolica. Essa ormai è da considerarsi come un deposito: «O Timoteo, custodisci il deposito che ti è stato affidato» raccomanda l'apostolo Paolo al fedele discepolo.
La triplice distinzione tradizionale del «credere» risalente a Sant'Agostino, ci porta alle stesse conclusioni. Se il «Credere Deum» è la conoscenza di Dio rivelato in Cristo e il «Credere Deo» è l'adesione ubbidiente a Dio che si rivela, il «Credere in Deum» rappresenta la pienezza della fede, intesa come avvicinamento, un movimento verso, una tensione, una consegna totale di se stessi a Dio. È la fede descritta soprattutto nei testi giovannei. La fede che Gesù chiede al cieco nato appena guarito dalla sua malattia: «Tu credi nel Figlio di Dio»? (Gv9,35), la fede di Nicodemo e dei samaritani, la fede di Maria che si abbandona senza riserve a Dio che le parla, la fede di cui Giovanni Paolo II° parla nella sua enciclica Redemptoris Mater. In Maria, dice il Pontefice, la descrizione conciliare della fede «trovò una perfetta attuazione». «Nell'annunciazione, infatti, Maria si è abbandonata a Dio completamente, manifestando l'obbedienza della fede, a colui che le parlava mediante il suo messaggero e prestando il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà. Ha risposto, dunque, con tutto il suo io umano, femminile, ed in tale risposta di fede erano contenute una perfetta cooperazione con la grazia di Dio che previene e soccorre ed una perfetta disponibilità all'azione dello Spirito, il quale perfeziona continuamente la fede mediante i suoi doni». La formula è nota: «Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto».
Un esempio perfetto della fede intesa nel suo senso più completo, in sintonia con l'atto col quale il Verbo diede inizio alla sua missione di salvezza: «Tu non hai voluto né sacrifici né offerta, un corpo invece mi hai preparato... Ecco io vengo... per fare, o Dio la tua volontà». (Eb 10,5-7).
Un passaggio dalla fede ascolto alla fede abbandono totale alla parola e alla volontà di Dio.
(Da una riflessione di G. Frosini
«La fede come abbandono»)

 

 

 

anno fede

 

 

 

 

 

 

 

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